Nel corso della mia vita moltissime volte mi sono ritrovata ad interagire con quella che adesso definisco identità e cultura del territorio a diversi livelli, qualche volta con maggiore consapevolezza, altre meno.
In alcune occasioni ho pensato e penso tutt’ora che la parola cultura, soprattutto se seguita dall’aggettivo locale fosse usata eccessivamente per definire situazioni che di cultura in realtà avevano ben poco. Questo succede soprattutto con ciò che mi riguarda da vicino, mentre non mi sarei mai permessa di fare le stesse considerazioni sulla cultura locale di qualcun altro.
Questo forse succedeva e succede a chi
- Deve lavorare con la cultura e le tradizioni del posto in cui è cresciuto e vive (dopo un po’ la stessa zuppa inizia a diventare meno gustosa);
- Ha fortunatamente girato e visitato un po’ il resto del mondo, ha dei termini di paragoni nel Louvre, British, il Pergamon e il Prado (solo per stare in Europa)
- Sicuramente si crea dei limiti mentali da solo o sola.
In realtà quando ho lavorato in Gran Bretagna nel lontano 2011 e 2012 ho potuto apprezzare un modo diversi di fare e trasmettere cultura, un modo che anche oggi non tutti utilizzano (ancora!) cioè l’interpretazione del patrimonio (il famoso Heritage inglese).
Una cosa che mi è rimasta molto forte è l’interesse a scoprire innanzitutto cosa le persone del posto valutano come loro patrimonio e in secondo luogo quanto vogliono condividere con altri. In particolare, avendo studiato sociologia del turismo mi ha sempre colpita il fatto che solo nella teoria si parla di tenere per se, mentre nella pratica si cerca più spesso un modo per mostrare tutto o quasi ad altri, soprattutto i turisti.
Il processo di coinvolgimento di residenti e portatori di interesse di un determinato territorio è un metodo di lavoro impegnativo, ma bellissimo che può portare i migliori risultati per la gestione del territorio stesso, al di là dell’interesse turistico di quest’ultimo.
In Italia il coinvolgimento nel settore turismo è così capillare che spesso invece di parlare di gestione del territorio e dei residenti, parliamo solo di gestione della destinazione. In un contesto simile, dimenticare chi siamo è semplicissimi.
Se qualcosa del genere inizia a succedere bisogna correre ai ripari e una delle maggiori alleate che potremmo avere è la cultura locale composta da tradizioni, miti, leggende, persone del passato e del presente.
Ho voluto andare oltre alla mia zona di confort e studiare ricerche e casi in cui la cultura locale possa essere utilizzata non solo per il turismo, ma anche come strumento contemporaneo per ritrovare le radici e le necessità di una comunità.
Condivido nelle prossime pagine un esempio da Roma e uno dalla Gran Bretagna.
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Professoressa Viviana Langher,*, Andrea Caputo, Daniele Brandimartea, Agnese Giacchetta, Anna Maria Grippoa, Valentina Nanninia del Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, Sapienza, Università di Roma.
Sono gli autori della ricerca Simboli e significati nella cultura locale di una periferia urbana: uno studio di caso
A Roma, una ricerca psicologico-clinica del’università La Sapienza esplora nel 2014 la Cultura Locale e la percepita qualità della vita del quartiere Colle Prenestino per comprendere quali servizi fossero più utili per i residenti.
L’analisi dei dati raccolti (in due diverse fasi tramite questionario) ha permesso di identificare 3 fattori che consentono di identificare la coltura locale, ma anche le necessità di alcune fasce della popolazione.
Il primo fattore contrappone i due gruppi femminili. Sono gruppi che parlano dell’assenza di uno sviluppo progettuale del quartiere e della sua offerta. Da un lato l’immagine del quartiere appare fortemente svalutata segnalando un senso di impotenza e disadattamento nel sistema di convivenza. Il quartiere è rappresentato come un luogo invivibile e destinato a peggiorare nel futuro.
Il secondo polo vede il quartiere come sufficientemente vivibile, caratterizzato da processi di convivenza addativi e che soddisfa in buona le esigenze degli abitanti. In nessun caso vi è orientamento al cambiamento, malgrado le criticità rivelate: bisogna farsi andar bene il quartiere, oppure sentirsi esclusi.
Il secondo gruppo evidenzia una dinamica di potere fra le tre generazioni maschili. I giovani e gli anziani, per ragioni diverse, incarnano l’idealizzazione del quartiere:essi sono alleati nel godere della bellezza e del prestigio del quartiere, svalutando la generazione intermedia con il richiamo alla scarsa autorità.
La generazione intermedia è composta da uomini adulti che problematizzano i rapporti e segnalano l’assenza di un sistema produttivo orientato allo sviluppo.
Gli anziani che hanno fondato il quartiere, sono in contrapposizione al secondo gruppo di uomini adulti (i figli) per i quali i primi hanno duramente lavorato.
Il terzo gruppo mette in evidenza l’unica dinamica che permette lo sviluppo della cultura locale di questo territorio: il sentimento di svalutazione e di esclusione che non conviene bonificare o negare, pena l’adattamento forzato o la negazione prepotente delle criticità.
A partire dal contatto con questo sentimento il territorio può individuare un percorso di novità, basato sulla capacità, esistente nella trama della sua cultura, di creare legami sociali solidi e produttivi.
Complessivamente i cittadini mostrano una soddisfazione globale bassa rispetto alla qualità di vita nel quartiere. Le aree più critiche individuate sono: mobilità, sicurezza, attività e servizi pubblici, condizioni delle strade, pulizia e spazi verdi.
Le categorie di abitanti che vivono maggiore difficoltà sono maschi adulti e donne di 45-65 anni. A queste queste categorie si riferisce la proposta di sviluppo presentata dalla ricerca dell’università La Sapienza.
I servizi presentati:
- Un servizio di orientamento al lavoro;
- Un presidio delle forze dell’ordine
- Un laboratorio teatrale sulle storie di vita
- Un centro aggregativo per giovani
- Un servizio di psicologia di prossimità.
Online non è chiaro se le iniziative indicate siano state portate avanti https://www.facebook.com/cdqcolle mi farebbe piacere essere smentita e rendermi conto di aver dato un’informazione da correggere.
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In Gran Bretagna nel 2022 il governo ha chiesto la collaborazione della popolazione (tramite il comitato DCMS – Digital, Culture, Media and Sport Committee) per valutare a livellare il Paese (livellare nel senso di diminuire le disparità, per cui in breve migliorare le condizioni e la qualità di vita).
La richiesta di collaborazione significa ricevere dalla popolazione operate nel settore cultura indicazioni su cosa funziona e cosa no.
L’indagine del Comitato DCMS ha preso in considerazione i finanziamenti per le iniziative culturali e la misura in cui il modello attuale garantisce che la distribuzione vada alle aree che potrebbero essere prima escluse, ma in necessità.
I parlamentari hanno utilizzato queste indicazioni per capire come sfruttare i talenti creativi e le imprese locali possa contribuire a riportare l’affluenza nelle strade principali (che corrispondono alle strade con più negozi, bar e ristoranti) e nei centri cittadini, ravvivando gli edifici commerciali e proteggendoli dalla chiusura.
In questo caso gli obiettivi sono economici (diretti e indiretti) e sociali.
Ho trovato una risposta da parte dal professori Nicky Marsh e Daniel Aston e dal ricercatore Michael Howcroft.
Professoressa Nicky Marsh, direttrice del Southampton Institute for Arts and Humanities (SIAH) e Preside associato per la ricerca e l’impresa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Southampton. Southampton.
La professoressa Marsh ha un’esperienza ventennale di lavoro su questioni legate alla cultura e all’economia ed è stata PI di 5 sovvenzioni AHRC/ESRC e Co-I di altre 2 (per un valore di circa 1,5 milioni di sterline).
Daniel Ashton è professore di Industrie culturali e creative presso la Winchester School of Art e ricercatore Analisi di Dati Disparati e Prove Inaspettate presso la SIAH.
Il dottor Ashton ha pubblicato e presentato a livello internazionale su politiche, lavoro e industrie culturali.
Michael Howcroft è un ricercatore SIAH e co-ideatore di Feeling Towns.
Innanzitutto nella risposta fornita da questo team, si pone l’attenzione sulla necessità di cautela.
Cito “è necessaria una notevole cautela nel comprendere il ruolo che la cultura può svolgere nell’affrontare le disuguaglianze geografiche, gli svantaggi strutturali e il declino economico e sociale di molte città inglesi.”
L’esperienza di questo team di lavoro nella ricerca sul campo e non ha portato delle indicazioni interessanti e delle proprie raccomandazioni che condivido.
- Le autorità locali non sono pienamente attrezzate con la ricerca a lungo termine e le sofisticate metriche di valutazione che la pianificazione culturale e la rigenerazione culturale richiedono. La consultazione della comunità in merito alla pianificazione culturale locale spesso coinvolge una fascia demografica molto ristretta e il capitale sociale per partecipare non è equamente distribuito.
- Gli interventi di consulenti esterni per la pianificazione e di promotori immobiliari e fondiari nei programmi di rigenerazione non sempre comprendono o soddisfano le esigenze culturali delle comunità locali.
Questi processi portano a un vocabolario ristretto per immaginare il futuro dei luoghi e dipendono da infrastrutture dure (“vetro e acciaio”) piuttosto che da infrastrutture morbide (competenze, capacità, esperienza, reti). Questo limita significativamente Lo sviluppo culturale locale, può inibire lo sviluppo delle competenze creative locali e contribuire alla diminuzione del senso di appartenenza, del benessere e della costruzione di comunità inclusive.
Inoltre, tornando invece alla mia personalissima sensazione è interessante che io non sia l’unica a pensarla così. Nelle ricerche svolte da questo gruppo di lavoro è stato riscontrato che:
“i) esistono diversi tipi di orgoglio civico e non tutti i tipi di orgoglio civico tipi diversi di orgoglio civico, e non tutti necessariamente testimoniano il successo di una politica;
- ii) l’orgoglio civico è temporaneo e fragile: non solo è difficile da misurare, ma non dura a lungo.”
Le raccomandazioni principali fatte al governo della Gran Bretagna sono:
- Comprendere meglio l’eredità dei programmi storici (come i “Grandi Luoghi” dell’ACE) e che cosa hanno significato per le comunità le riduzioni dei finanziamenti di tali programmi.
Comprendere dove il sostegno precedente ha funzionato (ad esempio, finanziamenti, esonero dalle tariffe commerciali, sostegno per il cambio di destinazione d’uso, miglioramento delle condizioni di vita) aiuterà a soddisfare le esigenze delle imprese creative esistenti e in fase di avvio e degli interventi a livello locale.
2. Sostenere le procedure di appalto delle autorità locali affinché estendano i loro criteri decisionali per enfatizzare la costruzione e il mantenimento di relazioni basate sul luogo, come le organizzazioni comunitarie di base.
3. Concentrarsi sullo sviluppo di un programma di competenze creative a livello locale, per includere un senso profondo del luogo e dell’appartenenza, il benessere, l’intergenerazionalità.
4. Consentire alle organizzazioni e agli individui di piccole dimensioni di essere meglio collegati ai loro organi decisionali locali in modi sostenibili ed efficaci. Attraverso l’UK City of Culture (UKCoC) o programmi simili, sostenere le culture della collaborazione, istituendo infrastrutture specifiche a livello locale che potrebbero includere finanziamenti per la formazione a sostegno di reti, sindacati e supporto alla diversità e all’inclusione nel processo decisionale.
5.Sviluppare una gamma più ampia di metriche per capire cosa le iniziative creative apportano alle comunità, compresi i parametri dell’orgoglio civico che sono rilevanti, sfumati, specifici a livello locale e appropriati per ogni attività di livellamento.
6. Utilizzare l’ampia gamma di metodi creativi per consentire forme più diverse e fantasiose di consultazione e di auto-realizzazione e di pianificazione delle città.
7. Evitare la retorica dell’esaltazione dei luoghi per ottenere “vantaggi” a breve termine in termini di orgoglio civico.
Condivido inoltre le raccomandazioni inviate in risposta alle domande fatte nella richiesta di collaborazione.
La prima domanda in particolare ci mostra come la cultura e la cultura locale in particolare non sia solo quella mostrata, ma sia la base per fare altro: mostre, spazi creativi per i più giovani, opportunità di tempo libero per chi ne ha la necessità e molto altro.
Domanda 1: Come può la cultura rianimare i nostri spazi pubblici e le nostre vie commerciali?
Si raccomanda di cambiare obiettivo, in quanto i singoli eventi di promozione rischiano di generare un effetto di svilimento prima e gentrification poi dei luoghi. Si suggerisce invece, di lavorare su politiche che prestino molta attenzione alla ricchezza, alla diversità, ma anche alla cultura ricca e variegata che già esiste nei luoghi pubblici.
Secondo l’esperienza degli autori finanziamenti + affitti bassi + una comunità intraprendente hanno permesso di rilevare spazi commerciali e renderli vivi e aperti alla stessa comunità.
Spazi come il Powerhouse di Hereford, il Creative Kids di Bournemouth e il TOMA di Southend sono tutti attivi, inclusivi e con una forte vocazione alla creatività.
Un’ulteriore raccomandazione, se si volesse seguire questa via è quella di non lasciar lavorare in autonomia promotori immobiliari, anche se specializzati, ma di affiancarli sempre alle organizzazioni presenti sul territorio per fare un lavoro più personalizzato sulla comunità stessa che lo utilizzerà. Le organizzazioni esistenti saranno d’aiuto nel valutare le opportunità per gli operatori creativi e le imprese e aiutare le comunità a raccontare le storie del loro passato e ad avere voce in capitolo nei piani per il loro futuro.
Inoltre si raccomanda che, se i consigli e le organizzazioni locali devono competere per dei finanziamenti, si dovrebbero fornire risorse per la formazione.
Sara
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